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Pasqua, la folla e la libertà. 4 meditazioni sociologiche

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Honoré Daumier, Ecce homo        

I. Festa di Primavera

La primavera è rinnovamento, per l'insieme dei viventi. E tante erano le feste, anche prima della Pasqua, che tra noi viventi umani celebravano ciclicamente questo passaggio, facendone un evento indistinguibilmente ecologico, religioso e socio-culturale. Poiché a rinnovarsi ciclicamente era la fragile, mai scontata alleanza, insieme, tra noi umani e gli altri viventi, tra noi umani e il divino, tra umani e umani. In un comune ritrovarsi e rigenerarsi che incorporava il moto circolare delle stagioni, del sole e delle lune nel cuore del patto elementare tra noi umani e con i nostri dèi.

Anche l’ordine comunitario di sempre ritornava pertanto, ciclicamente, nelle celebrazioni della primavera. Rassicurante, anche se pervaso da nuovi fermenti vitali. Rassicurante, al fondo, perché a tutti familiare. Anche se fondato sulle medesime, plurisecolari oppressioni, disuguaglianze, ingiustizie. Vissuto intimamente come un destino, fatalità sacro-naturale, e reso per questa via (paradossalmente) tollerabile.

2. La Passione e la violenza collettiva

Ed è su questo sotto-ciclo, specificamente umano, del più ampio rinascere primaverile della nostra patria terrestre, che interviene, scuotendolo alle radici, il racconto pasquale della Passione. Sfidandolo, questo nostro arcaico sotto-ciclo, inseparabilmente socio-culturale e sacrale, a rinnovarsi. A farsi annuncio della possibile libertà, insieme al ritorno incessante delle cose amate e che devono essere amate, invece che di fatale ripetizione dell’identico.

Nel racconto della morte-e-risurrezione di un uomo inerme e giusto, abbandonato anche dai suoi discepoli, condannato a morire dalla folla unanime, e ucciso nel modo più umiliante che si potesse concepire al suo tempo, che a fronte di tanta violenza riesce a non farsi dominare dal risentimento, preservando così l’integrità del suo essere libero ‘in interiore’ – in questo racconto, questo vorrei dire, viene incrinato il cerchio destinale della comunità che da sempre rinnova il proprio patto sociale e religioso sul riprodursi delle oppressioni, delle disuguaglianze, delle ingiustizie. Sulla legittimazione della violenza.

Sulla legittimazione, anzitutto, della violenza delle violenze: quella violenza collettiva, messa in scena con chiarezza inequivocabile nel racconto della Passione, alla quale la folla umana si affida per ripristinare il rassicurante sentimento di appartenenza comunitaria che si era perduto, o che si temeva, con angoscia, di perdere.

Il recente episodio dell'insegnante di Alessandria fatta oggetto di violenza da parte di un branco di studenti è solo uno degli infiniti indicatori di quanto profondamente radicato in noi sia questo dispositivo arcaico, inseparabilmente psicologico e sociale.

3. La folla e la libertà

Delle donne e degli uomini che, sotto il manto anonimo e protettivo della folla eccitata, hanno mandato quell'uomo ingiustamente sulla croce, quell'uomo ha saputo dire, parlando da quella stessa croce: non sanno quello che fanno.

Ovvero: obbediscono a copioni plurisecolari, intimamente violenti, senza saperlo. Inconsciamente, diremmo oggi. Copioni che promettono rassicurazione al prezzo, 'a conti fatti' tollerabile, della vita di una vittima sacrificale, e che regolano le loro emozioni, interazioni e pensieri in forme automatiche, quasi-naturali. Forme “nascoste sin dalla fondazione del mondo”, come aveva avuto occasione di dire in precedenza quel Gesù di Nazareth (frase del Vangelo di Matteo, e assunta da René Girard a titolo di un suo noto volume).

Quel lucido quanto sofferto non sanno, proferito per semplice amore di verità e giustizia, fa la differenza tra due diverse logiche relazionali: quella arcaica della vendetta – sempre fondata sull'accusa al violento di agire sapendo, con cattiva intenzione perfettamente cosciente (è colpa tua!); e quella neonata (2000 anni sono un soffio appena, in una storia che si deve contare in decimillenni) del riconoscimento reciproco nella differenza. Logica aperta alla possibile giustizia condivisa.

Una logica relazionale, questa seconda, fondata sulla difficile, difficilissima, conquista della libertà. Della libertà interiore. Per la quale le libertà formali sono tanto necessarie quanto del tutto insufficienti. Poiché la conquista della libertà interiore comporta una capacità, appunto interiore, di resistere al magnetismo delle folle di cui siamo parte – e di un qualche tipo di folla, concentrata o distribuita, siamo sempre parte, consapevolmente o no – che nessuna Costituzione potrebbe regalare.

4. Libertà relazionale

Questa capacità di resistere, mai acquisita una volta per tutte, di cui tutte e tutti credo facciamo esperienza (quanto felice o infelice, non è questo il punto), si nutre della consapevolezza, umile, che il conformismo dell’opinione condivisa da tanti ha una forza sempre tendenzialmente superiore a quella delle nostre fragili autonomie di giudizio. Che non siamo mai al riparo dalla tentazione interiore, umanissima eppure 'diabolica', di sciogliere magicamente le insicurezze, le solitudini, le paure, i sentimenti di colpa, di inadeguatezza e di sconfitta in uno sciame collettivo rassicurante.

Tanto difficile, la conquista della libertà interiore, da essere del tutto impossibile se fatta dipendere unicamente da sé, come vorrebbe la grande menzogna egolatrica, diffusa mimeticamente nel nostro tempo, momento per momento, da sciami inarrestabili, sempre più veloci, di like e controlike. Folle indeterminate di pensieri e di emozioni percorse dalla tentazione conformistica di definirsi attraverso l'accanimento su facili vittime espiatorie.

Soltanto avendo cura di contesti relazionali più vasti di ogni singolo individuo (umano e non), costruiti sul reciproco riconoscimento nella differenza, fino anche al conflitto più sfidante, potremo aver cura delle nostre fragili, quanto preziose, libertà. Poiché la libertà interiore è una condizione intrinsecamente relazionale, sociale, ecologicamente comune, che possiamo soltanto donarci e sottrarci nel vivo delle nostre reciprocità quotidiane.

Quando, nella prossima Domenica, si scioglieranno le campane, è all'annuncio di questa fragile, quanto preziosa, libertà, che faranno festa. Festa per tutti, credenti e no. Nessuno escluso.

Buona Pasqua di risurrezione a tutte e a tutti.


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